Instagram non è solo moda e beauty routine.
Nell’immensità del web e dei social, Cristina Giopp in arte The Girl in the Gallery, è riuscita a dare spazio con originalità ad un tema apparentemente di elite come l’arte.
Attraverso il suo profilo, i grandi artisti esposti nei musei di tutto il mondo diventano accessibili e facili da apprezzare, stimolando la curiosità e la cultura di tutti i suoi tanti follower.
Una ragazza meravigliosa che ho la fortuna di conoscere ed apprezzare per la sua intelligenza e generosità.
Chi è The Girl in The Gallery?
Sono Cristina, storica dell’arte con un background in economia, follemente innamorata della cultura storico-artistica ma sempre con un occhio rivolto al mercato.
Dopo alcune esperienze nel settore culturale, dalla realtà della galleria a quella museale, oggi mi occupo di consulenza nel mondo dell’arte e da qualche anno con entusiasmo ho affiancato a questa professione una seconda, nata un po’ per caso – ma soprattutto per passione – nel periodo degli studi: The Girl in The Gallery.
Passo dopo passo, opera dopo opera, ho voluto raccogliere sensazioni, esperienze e ispirazioni in uno stesso luogo, che prima era un diario scritto e poi si è messo l’abito social e si è trasformato in pagina Instagram. Scattare una foto al museo, raccontare un vernissage o una vendita all’asta è per me un po’ come collezionare il “non collezionabile”.
Non ho mai considerato l’arte come un feticcio da venerare a priori, fanaticamente, come fosse posto sopra un altare inviolabile, ma piuttosto come qualcosa che con il tempo e l’esperienza ho imparato a comprendere e che ha cominciato a far parte della mia vita, fino a regalarmi ogni giorno un’emozione sempre inedita e spesso dirompente.
E cosa c’è di più bello che condividere questi preziosi regali?
Come è nato il progetto e quali sono state le più grandi difficoltà e successi?
Il progetto nasce quando non esistevano ancora le figure dell’Art Influencer e Art Sharer e pochissime persone condividevano contenuti artistico-culturali sui social e praticamente nessuno lo faceva con le modalità e le intenzioni comunicative che oggi ormai sono alla luce del giorno e fortunatamente sdoganate. Ecco perché all’inizio non avevo idea di dove mi avrebbe portato questo mio condividere le esperienze che stavo
facendo in questo ambito. L’obiettivo, però, è sempre stato chiaro: volevo avvicinare le persone al mondo dell’arte, far sì che si incuriosissero, si appassionassero a qualcosa che, benché affascinante, è spesso stato considerato lontano e incomprensibile.
Come in ogni lavoro la strada non è tutta in discesa, gli ostacoli non mancano di certo e ogni giorno bisogna trovare la giusta chiave per rinnovarsi e rendere vivo più che mai l’interesse per l’arte, e Instagram in questo è un buon alleato se lo si usa nel modo giusto, in barba a quanti credono che sia un gioco da ragazzi alla portata di chiunque e a
quanti nel 2020 incredibilmente ancora faticano a reputare questo social idoneo alla condivisione culturale.
Tra le più grandi soddisfazioni ad oggi potrei citarti collaborazioni importanti, come la più recente con Sky Arte, un articolo da me ideato pubblicato su Vogue (https://www.vogue.it/news/article/progetto-fotografico-the-girls-in-the-gallery-tavola-sambonet) o, ancora, un traguardo professionale. Questi sono passi per me molto importanti, ma il vero successo, che mi dice che forse la direzione presa potrebbe essere quella giusta, è quando ricevo un messaggio da un ragazzo di 15 anni che non studiava storia dell’arte a
scuola, ma che, seguendo la mia pagina, mi dice di essersi incuriosito al punto da recarsi al museo a cercare l’opera di cui parlavo. Oppure quando una mamma mi confessa che sua figlia di 6 anni si è innamorata del mio profilo e da grande vorrebbe diventare come The Girl in The Gallery, studiare storia dell’arte e vedere tutti i musei del mondo.
Questi messaggi tengono in piedi tutto, sono la mia “reason why” quotidiana e forse i successi più grandi, che accumulo e conservo gelosamente nel cuore.
Spiegaci cos’è l’arte per te.
Non posso, non oggi, almeno non più di quanto abbia già detto. Devo ancora capirlo, un giorno forse potrò spiegarlo. Pensavo che studiando storia dell’arte avrei ottenuto molte risposte alle mie domande, invece ne sono uscita con ancor più domande e dubbi irrisolti. Studiare apre la mente, sì, ti fa andare oltre i limiti di quello che conosci, perché ti ritrovi di fronte a un mare magnum e le tue domande e curiosità aumentano in modo esponenziale.
Lasciami nuotare ancora per un po’ in questo mare…tra qualche anno, forse, potrò risponderti.
Qual è il tuo artista preferito e perché?
Difficile scegliere, impossibile direi. Sono del segno dei gemelli e all’aut-aut preferisco decisamente l’et-et. Posso dirti però che tra i miei prediletti, tra coloro che in qualche modo hanno rapito il mio cuore all’istante, c’è sicuramente Amedeo Modigliani con la sua eleganza senza tempo…e poi ancora subisco il fascino del misterioso silenzio di De Chirico, il tentativo di avvicinare l’assoluto di Giacometti, pur senza riuscire mai ad afferrarlo, la leggerezza di Renoir e il caos di Pollock.
Poi non ti nego che il rapporto con alcuni dipenda anche dall’umore e dal mio moodoftheday.
Le donne e l’arte. Nel passato e nei giorni nostri.
Le donne sono sempre state uno dei soggetti prediletti della storia dell’arte, quante figure femminili popolano i musei di tutto il mondo. Tuttavia, come artiste, esse a fatica sono entrate nel tempio dell’arte, i casi celebri si possono contare a mente: Frida Kahlo, Artemisia Gentileschi, Tamara de Lempicka, Yoko Ono, Marina Abramović… Il lato femminile della storia dell’arte negli anni passati è stato piuttosto trascurato e sottovalutato, nonostante sia sempre stato terribilmente affascinante, ma in anni più
recenti la situazione è decisamente migliorata e sono diverse le eroine dell’arte che, dalla fotografia alla pittura nonché nei ruoli istituzionali, oggi andrebbero menzionate. Tra le mie ispirazioni ci sono proprio due donne, o meglio, due vere regine di quadri: Peggy Guggenheim e Palma Bucarelli.
Il museo da vedere assolutamente una volta nella vita.
Il primo museo che ho visto: il Guggenheim di Venezia, lì il sublime gronda dalle pareti.
L’opera che dal vivo ti ha più emozionata?
Jackson Pollock, Alchimia (1947).
Fu un’esperienza pericolosa. Pericolosa perché non ne sapevo nulla, non ero preparata e fui colpita a tradimento. Passeggiavo attraverso le sale della collezione Guggenheim di Venezia, quando svoltai un angolo, feci qualche passo e mi ritrovai faccia a faccia con Jackson Pollock, il mio primo Jackson Pollock. SBAM! Due metri quadrati di uragano.
Mi colpì come un pugno in faccia, mi stese. Non so dire se fosse il famoso disturbo di Monsieur Henri Beyle, malore passato alla storia come sindrome di Stendhal, ma fu di certo un’esperienza estetica tra quelle che non dimenticherò mai.
L’opera che ti manca da vedere e finita questa pandemia vedrai.
Oh, sono milioni e milioni.
Io dico sempre che per ogni opera d’arte conosciuta ce ne sono altre mille ancora da scoprire. L’augurio che mi faccio, quindi, è di continuare ad avere sempre la stessa curiosità che mi spinge ogni giorno a cercarne di nuove. Ti confesso però che un’opera che sogno da molto tempo di poter “vivere” è The Lightning Field di Walter De Maria.
Per me, una delle più straordinarie e affascinanti azioni di Land Art. Ah, chissà se anche dal vivo, vista la natura dell’opera, sarà un accecante coup de foudre.
Instagram: @thegirlinthegallery